Celiachia, i batteri della saliva possono curarla?
Individuati alcuni enzimi in grado di degradare il glutine prima che arrivi all'intestino tenue
Pubblicato il 30/09/2016Fino a oggi l'unica cura possibile contro l'intolleranza permanente al glutine era la dieta senza glutine. Ma negli ultimi tempi i celiaci possono festeggiare: sono sempre più numerose le scoperte scientifiche che individuano nuove armi contro la malattia.
Un altro passo in quella direzione sembra essere stato fatto dai ricercatori della Boston University of Dental Medicine, che hanno pubblicato sul numero di settembre 2016 dell'American Journal of Physiology - Gastrointestinal and Liver Physiology uno studio nel quale spiegano di aver isolato un enzima dai batteri presenti nella saliva umana che ha un potenziale uso terapeutico per la malattia celiaca.
La ricerca di nuovi trattamenti per la malattia si è concentrata su metodi che hanno come target i peptidi del glutine che causano la reazione spropositata del sistema immunitario. Vi sono incluse strategie basate sui vaccini e l'uso di enzimi che degradano il glutine prima che questo raggiunga l'intestino tenue. «Abbiamo scoperto che un'attività enzimatica eccezionalmente elevata in grado di degradare il glutine è naturalmente associata con i batteri che colonizzano la cavità orale», raccontano i ricercatori. In poche parole, i batteri del genere Rothia, che si trovano nella saliva umana, possono abbattere i composti del glutine che causano una risposta immunitaria esagerata e che sono in genere resistenti agli enzimi digestivi che i mammiferi producono.
Il team ha isolato una nuova classe di enzimi che degradano il glutine dal batterio Rothia mucilaginosa. Gli enzimi Rothia individuati appartengono alla stessa classe di enzimi Bacillus subtilis, considerati «sicuri per l'alimentazione e consumati per decenni».
«Nonostante una lunga storia di consumo di B. subtilis e dei suoi prodotti, ci sono pochissime segnalazioni di eventi avversi. Lo status di categoria alimentare di B. subtilis apre nuove strade per potenziali applicazioni terapeutiche», concludono gli autori.
fonte: Panorama.it